Maschere tradizionali fonnesi

Maschere tradizionali fonnesi

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Descrizione

La resistenza Sarda sta nello sforzo di evitare la cattura e l’integrazione. Cattura dei valori locali, di lingua, di costume, di anima, di cultura; La resistenza nostra sta nel preservare ed esaltare le radici, cioè il nostro essere originario, senza di che siamo destinati a scomparire, diventeremo un popolo morto ,come gli Atzechi, gli Indios e tanti altri, popoli straordinari, se volete, ma dei popoli di morti, nemmeno di morti copresenti (come sono i moti valorosi, distrutti, da altri), perche ci saremmo distrutti da noi stessi. G.Lilliu 1970 L’ASSOCIAZIONE Dal 1994 anno di fondazione dell’associazione Urthos e Buttudos, un gruppo di giovani fonnesi, avvalendosi di ciò che hanno personalmente conosciuto e dei preziosissimi racconti degli anziani del paese, dopo accurate ricerche hanno fatto rivivere il tradizionale carnevale fonnese avvalorandolo con la presenza numerosa delle antiche maschere. Tale gruppo ha dato vita all’associazione culturale che si propone la valorizzazione e la tutela delle maschere tradizionali fonnesi e di tutte le tradizioni correlate. E’ ormai da anni che l’associazione organizza eventi, mostre e sfilate per far conoscere e non perdere il significato del carnevale fonnese il più antico patrimonio culturale fonnese. LE MASCHERE TRADIZIONALI FONNESI Le maschere predominanti nella “trenodia” carnevalesca sono quelle bestiarie che propongono travestimenti traslati dal mondo animale: montone-toro, muflone, pecora, cavallo, a significare il “bagaglio” di cui un uomo-pastore doveva disporre per essere considerato un “balente”. Denominate “buttúdos”, da “bottúdo” montone non castrato, o “mascheras bruttas” in contrapposizione alle “mascheras límpias”. (maschere pulite del Carnevalone), vennero dal Wagner così esemplificate: “maschere cenciose e sudice, dal vestito a sbrendoli, ricoperte di pelle, tinte di fuliggine, che l’ultima sera di carnevale cantano parodie carnevalesche e impauriscono i ragazzi e le ragazze”. Erano quei travestimenti animaleschi che i sermoni di S’ Agostino, dedicati alle “calende” di gennaio condannavano: “Alii vestiuntur pellis pecudum alu assumunt capila bestiarium, gaudentes et esultantes si taliter in ferinas species transformaverint ut homines non esse videantur …”. La Chiesa vietava l’uso della maschera bestiaria munita soprattutto di corna, per il suo traslato figurativo demoniaco. L,’úrthu”, maschera ricoperta interamente di pelle di montone o di caprone di color nero, con un grosso campanaccio legato al cono, costituiva l’epicentro del rito simbolico, sul quale gravitavano gli altri “buttudos”. Veniva tenuto al guinzaglio da un conducente tramite una pesante e rumorosa catena di ferro, ed aizzato ad avventarsi sulla gente e particolarmente sulle ragazze che dovevano gioco forza subire le sue “esuberanze”, quando non riuscivano a svincolarsi. Un altro aspetto tipico del carnevale fonnese è Su Ceomo (pupazzo carnevalesco, con sembianze umane), viene confezionato con degli stracci e viene imbottito con della paglia. La caratteristica principale di questa maschera è che veniva portato a braccia per le vie del paese seguito da un lungo corteo di maschere. Successivamente entreranno in scena gli “attori principali”,” Sas mascheras limpias” formati da uomini travestiti da donne che tramite canti tradizionali (Battorinas, Mutos) procederanno a processare “Su Ceomo” che simboleggia il carnevale, il quale verrà condannato a morte, e giustiziato per impiccagione e bruciato. Seguirà il lamento funebre (Su Teu) che viene improvvisato dai ” Buttudos” (ovvero maschere per lo più ricoperte di pelle e tinte di fuliggine), per commemorare la fine del carnevale. LE ORIGINI E LE RICERCHE E’ un orso di 25 mila anni fa (paleolitico) o è l’orcus latino, dio delle tenebre, “S’urthu”, la maschera più tradizionale e caratteristica del paese? Queste le due tesi di grande suggestione e di notevole interesse scientifico. “S’Urthu è da escludere che rappresenti l’Orso si tratta invece dell’Orcus latino, dio dei morti”. A sostegno della sua teoria la studiosa Dolores Turchi ha citato “prove archeologiche”, riferendosi a quaranta tombe preistoriche, con denominazioni del tipo sa domo de s’orcu, sa prejone de s’orcu. Sulle difficoltà di “governare il rapporto tra le tradizioni popolari e il turismo, che devono funzionare assieme” e dei “cambiamenti di significato del carnevale tra potere e società, caratterizzati da valori diversi” si è incentrata la relazione di Paolo Piquereddu. Lo studioso ha anche invitato la associazione de “S’Urthu” a proseguire nella attività di valorizzazione della tradizione. Per Franco Diana “uno dei principali problemi dell’etnologia dei popoli non solo europei, è quello di distinguere ciò che è attribuibile alle più lontane origini da quello che è frutto dei processi di differenziazione ancora in corso. Alcune tradizioni fonnesi come S’urthu o il pane di San Giovanni possono farsi risalire a rituali e pratiche religiose del paleolitico superiore”. Oltre che de “S’urthu” si hanno fatto ricerche anche delle altre maschere tradizionali quali “Sos buttudos”, “sas mascheras limpias”, e di “Su Ceomo”, il pupazzo che simboleggia il carnevale. Ma la parodia della condanna a morte del “ceomo”, che per secoli avveniva il martedì grasso: il fantoccio portato a braccia, seguito da una turba di maschere che in un clima di festosa trasgressione, eseguono canti e battorinas della tradizione fonnese. L’origine di queste maschere si perde nella notte dei tempi.

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